Di Nerolla
“Ad Mulvium usque Pontem continens agmen pervenit” (“Una colonna ininterrotta di gente arrivò fino al Ponte Milvio”), così nell’ “Ab Urbe Condita” di Livio (Liber XXVII, 51) si parla del popolo romano che si portò sul Ponte Milvio per apprendere la notizia della vittoria di Roma nella battaglia del Metauro (nelle Marche, in provincia di Pesaro e Urbino) il 22 giugno del 207 a.C., scontro decisivo della Seconda guerra punica durante la quale morì il generale cartaginese Asdrubale, fratello di Annibale. Ponte Milvio, infatti, era già allora la porta di Roma da e per il Nord con una rete viaria importante: verso l’Adriatico con la via Flaminia, verso la Toscana con la Cassia, verso l’alto-medio Lazio con la Clodia e la Veientana. Ai tempi della Seconda guerra punica doveva essere ancora in legno; nel 110-109 a.C. il censore Marco Emilio Scauro lo ricostruì in muratura.
La costruzione di Ponte Milvio, situato al terzo miglio della via Flaminia, risale probabilmente al IV secolo a.C.: anche se qualche studioso tende a datarlo addirittura al VI secolo a.C., sembra sia da preferire il periodo subito dopo la presa di Veio del 396 a.C., come ponte dell’antica via Veientana. Il nome lo acquisisce dal magistrato “Molvius”, donde “Molvio”, quindi Milvio, che autorizzò la sua costruzione (non è chiaro se la prima edificazione o una delle successive), anche se i romani amano chiamarlo “Ponte mollo”, perché durante le piene del Tevere è il primo ad essere sommerso: colloquialmente, infatti, “finisce a mollo” (secondo alcuni il nome “mollo” potrebbe derivare, invece, dallo stato di abbandono in cui ha versato in alcuni periodi della sua storia, risultando alquanto instabile, quindi “molle”). Nonostante il Tevere, nel suo andare capriccioso, lo abbia tante volte sommerso e che tante volte è stato oggetto di restauri e rifacimenti, Ponte Milvio è stato ed è un grande protagonista della storia di Roma di ieri e di oggi. L’antica Roma ricorda, su tutti, due fatti storici: uno di età repubblicana, relativo all’arresto di Tito Volturcio nel 63 a.C., grazie al quale Cicerone intercettò le lettere che gli consentirono il giorno dopo di denunciare la congiura di Catilina in Senato; uno di età imperiale, riguardante la battaglia del 312 d.C., nota appunto come quella di Ponte Milvio, che una versione leggendaria vuole segnata dall’apparizione della croce recante la scritta “In hoc signo vinces” (“Sotto questo segno vincerai”) che incoraggiò alla battaglia l’imperatore Costantino (contro l’autoproclamatosi imperatore Massenzio), che, dopo la vittoria, si convertì al cristianesimo.
Di età contemporanea una lapide in loco ricorda, invece, quando nel 1849 Giuseppe Garibaldi fu costretto a far saltare il ponte per ostacolare l’avanzata delle truppe francesi; l’anno dopo fu papa Pio IX che provvide a restaurare il passaggio sul Tevere. Allora l’area non era così urbanizzata come oggi. Solo all’inizio del XX secolo, infatti, cominciò ad essere abitata la zona attorno al maestoso ponte che vanta una struttura di 152 metri in lunghezza e di 7,5 in larghezza, costituita da sei arcate e realizzata in blocchi di tufo provenienti dalle cave di Grotta Oscura (sulla via Tiberina, tra Veio e la riva destra del Tevere) per il nucleo interno, con il rivestimento in pietra sperone ed in travertino. Tra gli interventi di restauro subiti nei secoli, i principali sono: una fortificazione medievale di forma triangolare nota come Tripizzone sulla base di una torre difensiva del III secolo (in seguito, nel 1458, demolita) costruita sull’imboccatura settentrionale; il gruppo raffigurante il “battesimo di Gesù” – il Cristo chinato nell’atto di ricevere l’acqua benedetta sul capo e, ad una ventina di metri, San Giovanni Battista con in mano un piatto dal quale versa l’acqua – dello scultore barocco Francesco Mochi (oggi l’originale è nell’atrio del Museo di Roma a Palazzo Braschi, la copia in loco è del 2001), collocato all’imbocco sud nel Seicento; l’intervento nel 1805 di Giuseppe Valadier che ricostruì le arcate alle estremità (che erano state sostituite da ponti levatoi in legno) ed edificò all’imbocco settentrionale una torre in stile neoclassico. La testata del ponte verso viale Tiziano è ornata con due statue marmoree: l’ “Immacolata” di Domenico Pigiani (realizzata nel 1840) e il “S.Giovanni Nepomuceno” di Agostino Cornacchini (del 1731). La presenza di quest’ultimo santo è legata al fatto che protegge dalle alluvioni e dalla morte per annegamento, ma sembra anche che custodisca i segreti: la statua, infatti, è abbinata ad un puttino che porta l’indice della mano destra sulla bocca quasi a chiedere il silenzio. Ostruito al traffico veicolare dagli anni Ottanta del Novecento, Ponte Milvio – nell’Ottocento passeggiata molto frequentata da dame e cavalieri in carrozza – nei primi anni del Duemila si è colorata di una nuova atmosfera magica e passionale grazie ai giovani innamorati che si scambiavano promesse apponendo un lucchetto col proprio nome sul ponte affidando la chiave ai flutti del Tevere.
Questo pegno d’amore è stato lanciato da “Ho voglia di te”, libro (poi film di successo con Riccardo Scamarcio come protagonista, per la regia di Luis Prieto) di Federico Moccia, che fu realmente il primo a lasciare un lucchetto l’8 febbraio del 2006: lo scrittore temeva che qualche lettore andasse a Ponte Milvio e non trovasse nessun lucchetto! Il risultato fu che dopo poche settimane dall’uscita del libro – pubblicato il 9 febbraio 2006 dalla casa editrice Feltrinelli -, il ponte era pieno di lucchetti ai lampioni tanto che prima furono apposti dei pali suppletivi per sostenerne il peso e poi, nel 2012, furono tutti rimossi per un intervento di decoro.
Ogni tanto, però, c’è ancora qualche coppietta che osa apporre il proprio lucchetto, soprattutto di sabato sera, quando Ponte Milvio è meta d’incontro privilegiata dei giovani. L’indomani, all’alba, è facile, infatti, scorgere un nuovo lucchetto, mentre il ponte comincia il suo ruolo di custode dei banchi di Ponte Milvio Antiquariato (lungo via Capoprati), l’appuntamento domenicale imperdibile per collezionisti e turisti per la ricca e pregiata esposizione curata da mercanti d’arte e da artisti contemporanei: un tripudio di oggetti rari ed unici esaltati nella loro bellezza da quello scorcio incantato costituito dal passaggio ora sonnacchioso, ora irruente del Tevere all’ombra dell’imponente Ponte Milvio.